L’omesso esame di elementi istruttori (in tesi gli atti del processo penale a carico degli zii paterni su denuncia dell’odierna ricorrente e conclusosi con l’archiviazione) non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora i fatti storici, rilevanti in causa (nella specie le condotte dei genitori, la loro relazione con la minore e le problematicità emerse anche nel contesto complessivo della famiglia di origine di ciascun genitore), sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. Lo stabilisce la Cassazione civile, sez. I, ordinanza 27 febbraio 2024, n. 5136.

ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi:  

Cass. n. 27415/2018

Difformi: Non si rilevano precedenti in materia

Il caso deciso dalla Corte di Cassazione è complesso e può essere riassunto come segue:

  1. a) La ricorrente denuncia:
1) con il primo motivo la violazione degli

artt. 132 e

118 cod. proc. civ.,

111, comma 1, Cost., per avere la Corte d’appello deciso la questione relativa al processo penale, incardinato a seguito della denuncia sporta dalla signora Mevia, limitandosi a fare riferimento “esterno” ad una avvenuta archiviazione della denuncia penale, nonostante che anche per la consulente d’ufficio risultasse necessario acquisire la documentazione di detto processo;

2) con il secondo motivo l’omesso esame di fatto decisivo, per avere la Corte di merito omesso completamente di esaminare il certificato medico prodotto da Mevia in relazione al mancato rispetto della prescrizione sul collocamento della minore in O;

3) con il terzo motivo la violazione dell’

art. 155 cod. civ. e dei principi in tema di affidamento e collocamento del minore, per avere la Corte d’appello esplicitato un decisum erroneo laddove aveva affermato che l’affido condiviso inizialmente prospettato dalla CTU dottoressa Caia non era in concreto attuabile perché Mevia non risiedeva ad O, contrastando detta affermazione col principio di bigenitorialità, in assenza di una accertata inidoneità ovvero grave carenza educativa della madre, mentre la distanza dei rispettivi luoghi di residenza dei genitori era un fattore irrilevante per legittimare una così radicale compressione dei canoni sanciti ex

lege 54/2006“;

4) con il quarto motivo, ai sensi dell’

art. 360 cod. proc. civ., comma 1, nn. 3, 4 e 5, la violazione dell’

art.116 cod. proc. civ., in relazione alla valutazione effettuata dalla C.T.U. sulla capacità genitoriale di Mevia, per avere la Corte di merito posto a fondamento della decisione una parte contestata della C.T.U., nonostante fosse stata richiesta anche nel giudizio di appello una integrazione dell’elaborato peritale e depositata una valutazione della dott.ssa Filana;

5) con il quinto motivo la violazione e/o falsa applicazione degli

artt. 155,

315-bis,

337-ter,

quater,

quinquies e

octies cod. civ.,

62,

194 e

709-ter cod. proc. civ, in relazione all’

art. 360 cod. proc. civ, n. 3 nonché dell’

art. 216 nonché

111 della Costituzione, per avere la Corte territoriale disposto l’affidamento esclusivo al padre in assenza di giudizio prognostico sull’incapacità della madre, basato unicamente sulla “unilateralità” della decisione dell’odierna ricorrente di trasferirsi a casa della madre in Sardegna;

6) con il sesto motivo la violazione e/o falsa applicazione degli

artt. 155,

333 e

337-ter cod. civ.,

112 e

61 cod. proc. civ,

337-quater e

337-octies cod. civ, in relazione all’

art. 360 cod. proc. civ, comma 1, n. 5, nonché l’omesso esame di un fatto decisivo, per avere la Corte di merito disposto l’affidamento esclusivo senza operare approfondita adeguata indagine tecnica preventiva al fine di valutare la responsabilità genitoriale e le migliori modalità di affidamento, collocamento e frequentazione della minore; vii) con il settimo motivo la violazione degli artt. 3, 6, 12, 16, 19 della Convenzione internazionale di New York sui diritti del fanciullo ratificata con L. n. 176 del 27 maggio 1999; la violazione degli artt. 3-6 della Convenzione Europea di Strasburgo sui diritti del fanciullo ratificata con

L. n. 77 del 20.3.2003 nonché dell’

art. 337-octies c.c. sull’ascolto del minore; la violazione dell’

art. 8 della

Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU); la violazione dell’art. 4 della Convenzione di Istanbul, adottata dal Consiglio d’Europa il 1 maggio 2011, ratificata dallo Stato Italiano con

L. 77/2013.

Inoltre, la ricorrente deduce che l’interesse preminente del minore richiede che soltanto circostanze eccezionali possano condurre ad una rottura del legame familiare, e in particolare con la madre, laddove i bambini siano in tenera età, conformemente all’applicazione delle suddette disposizioni come effettuato dalla giurisprudenza di legittimità; richiama diffusamente la giurisprudenza di questa Corte e della Corte Edu e assume che la Corte d’appello abbia del tutto omesso di considerare quali potrebbero essere le “ripercussioni sull’assetto cognitivo della minore di una brusca e duratura sottrazione della stessa dalla relazione familiare con la madre, con la lacerazione delle corrispondenti consuetudini di vita”.

La Corte di Cassazione esamina congiuntamente i motivi per la loro connessione e li dichiara perché diretti, tramite l’apparente denuncia di vizi motivazionali e di violazione di legge, a censurare il riesame dei fatti e di valutazioni espresse dalla Corte di merito con adeguata motivazione sotto ogni profilo di rilevanza.

In particolare, la Corte territoriale ha ricostruito in dettaglio i fatti salienti ed ha effettuato un’analitica disamina delle condotte dei genitori, anche sulla base delle risultanze della C.T.U., e della situazione psicologica in cui versava la minore. All’esito, la Corte d’appello ha espresso un motivato giudizio in ordine alle statuizioni ritenute più consone a realizzare l’interesse della bambina ed ha confermato il regime di frequentazione tra madre e figlia dettato dal Tribunale, in quanto oggettivamente stabiliva una tempistica idonea a garantire il mantenimento della relazione con la madre, nei limiti di quanto consentito dall’eventuale residenza di quest’ultima in Sardegna, dando altresì atto che il padre risultava avere sempre rispettato il principio di bigenitorialità, favorendo e consentendo lo svolgimento degli incontri tra la bambina e la madre. La Corte di merito ha, infine, precisato che “l’affido condiviso inizialmente prospettato dalla C.T.U. dottoressa Caia. non è in concreto attuabile in quanto esigerebbe che la signora Mevia risiedesse ad O o nelle vicinanze in modo da poter essere maggiormente partecipativa rispetto alla vita della figlia e alle decisioni da assumere nell’interesse della minore”.

Per contro, la ricorrente, nel richiamare diffusamente la normativa asseritamente violata e la giurisprudenza di questa Corte, nel denunciare la violazione del principio di bigenitorialità e l’asserita omessa adeguata valutazione di talune circostanze, da ella interpretate diversamente dalla Corte d’appello, in buona sostanza prospetta impropriamente una difforme ricostruzione fattuale e sollecita un nuovo riesame valutativo.

Generico, oltre che inconferente, è il richiamo della normativa Europea e internazionale, prospettato in ricorso sul presupposto di una “rottura” del legame con la madre che non trova riscontro nel regime di frequentazione con la figlia dettato dai giudici di merito e anche, in concreto, nelle relazioni dei servizi sociali e della neuropsichiatra citate nel decreto impugnato, da cui era emerso che C.C. esprimeva sentimenti positivi nei confronti di entrambi i genitori e stata costruendo un rapporto equilibrato e equidistante con entrambi. Il riferimento all’ascolto della minore, indicato nella rubrica del settimo motivo, non risulta neppure illustrato nell’esposizione di detto mezzo, difettando, al riguardo, una compiuta e pertinente critica.

Esito del ricorso

La Corte dichiara inammissibile il ricorso

Riferimenti normativi:

 

Art. 315 bis c.c.

 

Art. 337 ter c.c.